DALLA CAMPANIA CON FURORE

di Pablo Paolo Peretti
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Cosa significa per te scrivere poesia?

Per me è liberare l’inconscio,ma anche improvvisarmi ‘fingitore’ in senso Pessoano. Inoltre, se la Poesia ‘salva la vita’, parafrasando Donatella Bisutti, effettivamente potenzia creatività e immaginazione, a parte l’abreazione a cui conduce.

Tre libri di poesia che consiglieresti di leggere a chi si avvicina alla stessa e perché.

La Divina Commedia per la sua eccezionale imprescindibilità formativa; le opere Omnia di Emily Dckinson e di Sandro Penna, per la dicibilità dell’indicibile, e ne aggiungerei un quarto, bellissimo,della poeta, narratrice, fotografa e film maker Gabriella Maleti: Prima e Poi, ed. Gazebo, per la spiazzante e commovente (in accezione latina) sincerità.

Rimbaud diceva che il peggior nemico di un poeta è il poeta stesso. Cosa voleva dire secondo te?

Quando l’innocenza della propria passio si trasforma in mania produttiva e diventa marginale rispetto al’esca del divismo e del protagonismo ad oltranza, quando all’entusiasmo per il Poiein dell’Allodola Immortale subentrano invidia e noncuranza, ecco, qui secondo me il Poeta complotta contro se stesso e scade di brutto, mentre dovrebbe essere paladino di valori e di ideali. Ma forse anche questa è retorica. E pia ilusione.

Dall’alto di una torre quali dei libri acquistati da te lanceresti nel vuoto in quanto illeggibili e perché?

No, non getterei NESSUN libro dall’alto della torre sia per l’enorme rispetto che ho per la pagina scritta, anche modesta, sia perché non ho MAI sbagliato nella scelta di libri ottimi.
La cifra non mi stupisce, data la tendenza di scrivere da parte di tutti. Io dico: tutti poeti, nessun poeta.

Cosa ne pensi, secondo l’indagine Doxa, dei 4 milioni di poeti dichiarati in Italia ?

La cifra non mi stupisce, data la tendenza di scrivere da parte di tutti. Io dico: tutti poeti, nessun poeta.

Chi ha diritto di chiamarsi poeta e perché? Cosa lo rende tale?

I poetini e gli scrittorucoli d’accatto si autoincoronano tali per acquisire il patologico, delirante titolo di distinzione intellettuale. Sostengo che abbia diritto di definirsi tale chi di simile attività campa e chi sopravvive all’usura delle mode, dei tempi, delle tendenze, e vanti un background culturale solido e comprovato.

Avresti da proporre tre poeti ancora sconosciuti al grande pubblico che vorresti vivamente consigliare di leggere in quanto meritevoli di tale titolo?

Con mio sollievo ne avrei tanti e tanti; sono estremamente imbarazzato, ma indicherei Costanzo Ioni, Floriana Coppola e Gianpaolo Mastropasqua. Ma ci sarebbero almeno Luca Crastolla, François Nedel Atèrre, la grande Ketti Martino, Carla Viganò,Michele Carniel e Davide Cuorvo.

La poesia, secondo te, è un’arte di nicchia? Cosa si potrebbe fare per renderla più popolare?

La Poesia è arte di nicchia: la considero elitaria e diffido di queste teorie populiste, che respingo con tutte le energie in mio possesso. Beninteso, tutti hanno il diritto di esprimersi, ma la Poesia vera e i suoi autentici sacerdoti non debbono fare nulla per impiattarla alla mensa dei bruti e degli insensibili, vuoti individui, beceri e inconcludenti.

Hai dei momenti particolari quando componi? Dove di solito?

Non so spiegare come e in quali circostanze prende di me il controllo il daimon ispirativo; non ho un luogo preferito ove comporre; il mio ’adyton’ è ovunque, crea da sé il suo spazio, la concentrazione, il provvidenziale, irrinunciabile isolamento.

Con quale/i poeta/i andresti volentieri a cena (anche poeti che non sono più in vita) e perché?

Andrei a cena con tre poeti grandissimi che non ci sono più: l’rpino Pasquale Martiniello, il nolano Aristide La Rocca, la sanfelese Assunta Finiguerra,perché li ho conosciuti nelle più contorte spire viscerali dell’animo loro. E andrei a cena con Gabriella Maleti, portatami via in piena amicizia da un male crudele, e con Anne Sexton e Costantino Kavafis, geniali per loro conto. Unici. Meravigliosi.

POESIE

Come impedire al ghiaccio
di conquistare la lampada
rossa della tua bocca
Dormissi quieto mutassi il destino
Maledetti soffi di passione
Non c’è dolore che mi ridesti
da questa follia che piace all’orologio
che non batte più l’ora
che orrenda appare all’anima
anelante a ben mistica unzione
Vorrei allungare una mano
per competere con l’armonia
del tuo penare mentre dissangui il braccio
e ignori così di avere ai tuoi piedi
il mare oceano rivolo d’infinito
Non chiedermi cosa farò ora
mentre trasali mentre la tua memoria muore
o fingi stupore al muffito crepuscolo
che ostenta stanchezza nelle larghe mammelle
nel pube che è stato per troppo tempo
la mia piccola falena bruciata
una piccola madre a metà pagina di questa
dirottata esistenza Mi vorrei ingrato
dell’idillio e felice dell’aria solitaria
al punto da fischiettare una serenatella
alla luna che mi bagna la pelle
e stringere un grillo senza schiacciarlo
nel palmo dell’idea come se attaccassi
invece un banale malumore a descrizioni
spoglie affrettate afone stente
Ma forse sto furtando lo ammetto
radice di verità Già altrove la mia casa
si chiamò ala di qualcosa affine alla viltà
alla menzogna come la mia ridotta distesa
d’erba Una cornacchia aggetta la sua ombra
sulla mia fronte d’avorio Somiglio a un bravo
ragazzo che gioca d’intrugli con donne mature
rese deboli dalla pelle rilasciata e dalle natiche
pesanti Me le godo in un’ansa segreta
Le consumo in questa sigaretta
 
ARMANDO SAVERIANO da LA CIRCONFERENZA DELL’IRIDE

ARGONAUTA

Da quando vivo è un pretesto
il fermarmi rinviando ogni scelta .
Questa memoria sfitta di immagini
fa tedio nelle sillabe della contraddizione.
Fui Dedalo. Sarò Lazarillo (forse).
Il disoccupato a cui tutto rovina addosso
nella disillusione elicoidale. Chissà.
Ma intanto sogniamo in platea il cinema
dell’esistenza. Chi rotolò per esempio
nei dadi a getto di Giannetto Malespini
in mezzo all’ansa torbida del silenzio che
adesso come allora congiura ?
Certo –direte – un incosciente oppure
un poeta nella rivoluzione dei garofani.
Inutile immite ! La vita che ci gioca si
contende con l’ω μεγα l’ingiuria
dell’inganno. Ingaggia demoni la corrosione
dell’affanno quando incrociamo il
fioretto nel cuore della controversia
e siamo noi a subire nell’esplorazione
di anime interrate la beffa dell’inetta
avventura che (ci) disorienta in questo
nostro soggiorno a episodi nel mondo
tagliando i fili del senso che mai si designa.
Il fronte della natura scissa sembra
vicinissimo, vedete? E’ impresa impossibilepatetica
anche inventare significanze transfigurando la
propria natura -se è biblico issòpo come pare
essa sia-. Perexigue herous, argonauta allotrio io con voi
noi quando il folle scopo di credere in un qualsiasi vello
aggrapparcisi -cocciuti/falliti alfieri- si dissolve
aliforme fermentazione della dulcedine
d’illudersi. Materia morticina, pellicola umilia(nte)ta.
Qui noi ci guardiamo nelle lenti
arrovesciate del binocolo non osando saperci
invisibili e assurdi petendo origini celesti
dibattuti dalle fiondate del caso mazzafrusto
transitori sbandatissimi fuscelli.

 

Premio nazionale di poesia “Città di Sant’Anastasia” 5a.Edizione 2006/2007

 

Cappuccetto nella foresta dei bastoni
rischiava d’insordire
al finimondo dei nonni che infittivano lagne e proteste
inveendo forsennati contro chi arrestando il respiro
li avrebbe ridotti in polvere buona per l’avido vento
mentre no
loro volevano continuare ad arrampicarsi
sulle pareti fino al cielo
mangiare pesche chiedere alla nipotina
di chinarsi a sfilare la mutandina
Avevano becchi a battere il tuono
un odore di lucerna al lumicino
i capelli radi intrecciati al giugno che getta i fazzoletti
agli usignoli affranti tra gli asfodeli tòrti
Oh erano nonni fieri piegati dall’artrite che s’avanza
vantavano brevi racconti di albe adolescenti
ficcate nell’illusione dell’impudente giovinezza
Oh correvano allora dietro flauti e aquiloni
parlavano di fauni e di piaceri a fanciulle accaldate
tutti lavoravano a raccogliere la dolcezza dal marmo
festeggiando il primo sfogo dell’estate impura
Afferravano irruenti testa e coda dell’arcobaleno
sempre troppo distante dalla caparbietà umana
O cappuccetto cavalca l’alcione della tua finta innocenza
scova tra i vizi delle fauci il lupo
sorvolalo
precedilo
prometti al cacciatore la frode
della verginità
quando avrà estratto alla belva il cuore
e ballato sotto il cappio di Giuda e così l’aria
nera nera si pettinerà alle finestre delle minuscole
casette Lego dalle gialle margherite coi pastorelli
a mugghiar d’affarucci e logori castighi
Giocano i nonni puntati i bastoni
a schiacciacappuccetto
per sporcar la morale della fiaba
accendere un falò
arrostir la carne

ARMANDO SAVERIANO
22 giugno – Covidanno

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