Le lingue d’Italia: il dialetto tra letteratura e cultura

di Elisa Borella
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Una tra le caratteristiche più affascinanti del Bel Paese è la varietà: varietà di climi (dal freddo montano del Trentino al caldo afoso delle assolate spiagge della Sicilia), varietà di paesaggi (dalle casette colorate arroccate una sull’altra della Liguria alle masserie disperse tra oliveti e muretti a secco della Puglia), varietà di monumenti e di siti storico-artistici (dalla Roma classica e barocca agli eleganti e misteriosi canali della laguna veneta), varietà di lingue. Già: ma che lingua si parla in Italia oggi? E che lingua si è parlata in passato? Questo breve viaggio alla scoperta delle lingue parlate in Italia cercherà di trovare una risposta all’annoso quesito.

In gergo tecnico esiste una lingua definita italiano standard, cioè quella varietà sovraregionale di italiano che, di solito, si ascolta solo a teatro, nei corsi di dizione oppure di storia della lingua italiana all’università; è un prodotto assai recente della nostra storia nazionale e, a dirla tutta, sembra non avere riscosso molto successo perché praticamente nessuno lo parla correntemente come lingua materna. Come mai? Per questioni storiche, il nostro paese è vissuto per secoli e secoli diviso in piccoli o medio-piccoli stati regionali, principati, signorie e potentati locali (prendete una qualunque cartina geografica dell’Italia da un qualunque libro di storia: non è forse coloratissima?) che hanno impedito una qualunque forma di unificazione non solo politica – raggiunta solo nel 1861 dopo lunghe e sanguinose lotte –, ma anche linguistica.

Senza scendere troppo nel dettaglio, la lingua italiana, come tutte le altre lingue romanze (francese, provenzale, spagnolo, portoghese, rumeno), si è formata dall’evoluzione della lingua latina parlata (ebbene sì, potete fregiarvi del titolo di parlanti del “latino contemporaneo”!) che, in ciascuna regione linguistica, ha assunto caratteristiche proprie, diverse da quelle dei vicini. Oggi ne siamo consapevoli, perché basta muoversi su e giù per l’Italia per sentire suoni e parole diverse; ma un tempo? Chi fu il primo a dare conto di tutto questo patrimonio così vario e multiforme? Vi do qualche indizio: viaggiò molto per questioni “politiche” ed è un nome particolarmente caro alla nostra associazione… Avete pensato a Dante Alighieri? Ma certo, è proprio lui!

Nel suo De vulgari eloquentia (“ma è in latino!” potreste arguire. E, in effetti lo è, ma non abbiamo appena finito di dire che ovunque si parlavano lingue diverse incomprensibili tra vicini? Ecco, il latino aveva un po’ la stessa funzione di lingua franca che ha oggi l’inglese: serviva ai dotti per comunicare ed essere sicuri di essere compresi da tutti!), purtroppo incompiuto, Dante si pone come un osservatore esterno del patrimonio linguistico del Bel Paese e analizza ciascuna parlata d’Italia per cercare di rintracciare una lingua che potesse davvero dirsi “italiana”, nobile, consona insomma alla massima ambizione poetica, retorica e politica del nostro. L’inventario dialettologico così compilato comprende ben 14 varietà di dialetti (con tanto di citazioni!), anche se nessuno “al naturale” purtroppo sembra fare al caso suo – nonostante in tutti virtualmente egli rintracci qualcosa del suo ideale vernacolo “cardinale”, “illustre”, “aulico” e “cortigiano”.

Oggi, invece? Grazie alla diffusione del romanzo del primo e secondo ‘800 prima (alzi la mano chi non ha mai letto i Promessi sposi di Alessandro Manzoni!) e della televisione dagli anni ’60 del secolo scorso in poi, una qualche forma di lingua nazionale non più spezzettata in una miriade di dialetti è parlata da più o meno la maggioranza degli abitanti del nostro paese. È italiano standard allora? No, non lo è, proprio perché la lingua locale (il dialetto) ha esercitato una forte influenza sull’italiano “nazionale” idealmente comune a tutti quanti i parlanti sul suolo italico (in gergo tecnico si chiamano “influssi di sostrato”, proprio perché si immagina l’evoluzione della lingua come un continuo sovrapporsi di strati permeabili che si influenzano reciprocamente), generando diverse varietà che sono definite “italiani regionali”. Questo è il motivo per cui, ad esempio, se il vostro coinquilino è siciliano e pronuncerà tutte le vocali aperte o se è fiorentino e aspirerà le “C”, produrrete suoni diversi, ma sarete perfettamente in grado di comprendervi l’uno con l’altro! Incredibile, vero?

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