Miseria e nobiltà, un cult imperdibile della commedia italiana

di Marie Morel
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Resto spaesata, a volte, dinanzi all’enorme offerta di canali e programmi televisivi che oggi abbiamo a disposizione. Troppo abbondante e, spesso, di scarsa qualità, per cui, prima di trovare qualcosa che valga la pena di vedere, si deve fare una lunga e attenta selezione. Ci sono i canali tematici per gli appassionati di alcune materie, hobby e generi cinematografici e tantissimi dedicati ai bambini. Chi appartiene alla mia generazione ricorderà che, quando eravamo bambini, i canali erano pochi e la scelta ancor di più. Ho trascorso i primi anni della mia vita guardando i film di Shirley Temple, i classici del western, il mago di Oz (1939), il lago dei cigni (del 1981, cartone antesignano de “La principessa del lago”), e, soprattutto, quelli di Totò.
Ne ho visti tanti, se non tutti, e più volte, ma pur amando il principe della risata, con il tempo sono finiti nel dimenticatoio. L’altro giorno, parlandone con mio figlio, sono rimasta sorpresa quando mi ha rivelato di non aver mai visto “Miseria e nobiltà”. L’ho ritenuta una mia grave mancanza, dal momento che sto cercando di inculcare nei miei figli un’adeguata cultura cinematografica, al di là del gusto personale. Ed un cult del cinema come questo non può mancare all’appello. Ho rimediato subito e l’ho costretto a vederlo all’istante. Era un po’ ricalcitrante inizialmente, ma dopo i primi momenti di perplessità l’ho visto via via apprezzare sempre di più la comicità semplice, genuina, spoglia di fronzoli e volgarità di questo film. Oltre ad essere un pezzo di storia del cinema, è anche un affresco della vita a Napoli, alla fine del 1800. Totò interpreta Felice Sciosciammocca, maschera reinventata e portata sulle scene da Eduardo Scarpetta e divenuta celebre grazie all’eccezionale attore partenopeo. Di professione scrivano squattrinato e sciupafemmine, Felice condivide casa, sventure e miseria con l’amico Pasquale, fotografo ambulante e le rispettive famiglie. I due vivono alla giornata, cercando di sfuggire ai creditori e di raggranellare qualcosa per sfamare mogli e figli, ma con scarso successo. Ormai sono ridotti alla fame, quando la fortuna va loro incontro nei panni di don Luigino, un giovane benestante che si innamora di Pupella, la figlia di Pasquale. Luigino viene a sapere che la sua amata non mangia da diversi giorni, quindi salda i debiti di Felice e Pasquale e invia loro un lauto pasto, ordinato al ristorante. Pupella, Felice e la compagna Luisella, Pasquale e sua moglie Concetta credono di avere le allucinazioni per la fame, quando il cuoco allestisce dinanzi ai loro occhi un banchetto coi fiocchi. Appena questi si allontana si avventano tutti sulla tavola imbandita. E’ memorabile la scena in cui Totò e gli altri protagonisti mangiano gli spaghetti con le mani, accennando una tarantella. Chi non l’ha mai vista? La fortuna bussa una seconda volta alla porta di Felice e Pasquale quel giorno. Il marchesino Eugenio è innamorato della bellissima Gemma, una ballerina di teatro e sorella di don Luigino, ma i suoi parenti altolocati non approvano la sua unione con una borghese. Paga, allora, gli squattrinati per fingersi la sua nobile parentela. Vestiti rispettivamente da marchese, principe di Casador, contessa e contessina del Pero, Felice, Pasquale, Concetta e Pupella vanno a casa di don Gaetano, per chiedere la mano di Gemma, ma giunti lì la vicenda si ingarbuglierà creando una serie di equivoci, che si concluderanno con un lieto fine, per tutti, o quasi.
Un film che con la sua schiettezza e semplicità strappa sorrisi autentici ed un momento di vero svago e spensieratezza.  
Alla fine mio figlio, che appartiene alla generazione dei filmoni dagli effetti speciali sensazionalistici mi ha detto: “Mamma, avevi ragione, avrei dovuto vederlo prima”. E , quando un figlio adolescente per una volta ti dà ragione, è una grande soddisfazione.
 

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