2020
Cosa significa per te scrivere poesia?
Per me è liberare l’inconscio,ma anche improvvisarmi ‘fingitore’ in senso Pessoano. Inoltre, se la Poesia ‘salva la vita’, parafrasando Donatella Bisutti, effettivamente potenzia creatività e immaginazione, a parte l’abreazione a cui conduce.
Tre libri di poesia che consiglieresti di leggere a chi si avvicina alla stessa e perché.
La Divina Commedia per la sua eccezionale imprescindibilità formativa; le opere Omnia di Emily Dckinson e di Sandro Penna, per la dicibilità dell’indicibile, e ne aggiungerei un quarto, bellissimo,della poeta, narratrice, fotografa e film maker Gabriella Maleti: Prima e Poi, ed. Gazebo, per la spiazzante e commovente (in accezione latina) sincerità.
Rimbaud diceva che il peggior nemico di un poeta è il poeta stesso. Cosa voleva dire secondo te?
Quando l’innocenza della propria passio si trasforma in mania produttiva e diventa marginale rispetto al’esca del divismo e del protagonismo ad oltranza, quando all’entusiasmo per il Poiein dell’Allodola Immortale subentrano invidia e noncuranza, ecco, qui secondo me il Poeta complotta contro se stesso e scade di brutto, mentre dovrebbe essere paladino di valori e di ideali. Ma forse anche questa è retorica. E pia ilusione.
Dall’alto di una torre quali dei libri acquistati da te lanceresti nel vuoto in quanto illeggibili e perché?
No, non getterei NESSUN libro dall’alto della torre sia per l’enorme rispetto che ho per la pagina scritta, anche modesta, sia perché non ho MAI sbagliato nella scelta di libri ottimi.
La cifra non mi stupisce, data la tendenza di scrivere da parte di tutti. Io dico: tutti poeti, nessun poeta.
Cosa ne pensi, secondo l’indagine Doxa, dei 4 milioni di poeti dichiarati in Italia ?
La cifra non mi stupisce, data la tendenza di scrivere da parte di tutti. Io dico: tutti poeti, nessun poeta.
Chi ha diritto di chiamarsi poeta e perché? Cosa lo rende tale?
I poetini e gli scrittorucoli d’accatto si autoincoronano tali per acquisire il patologico, delirante titolo di distinzione intellettuale. Sostengo che abbia diritto di definirsi tale chi di simile attività campa e chi sopravvive all’usura delle mode, dei tempi, delle tendenze, e vanti un background culturale solido e comprovato.
Avresti da proporre tre poeti ancora sconosciuti al grande pubblico che vorresti vivamente consigliare di leggere in quanto meritevoli di tale titolo?
Con mio sollievo ne avrei tanti e tanti; sono estremamente imbarazzato, ma indicherei Costanzo Ioni, Floriana Coppola e Gianpaolo Mastropasqua. Ma ci sarebbero almeno Luca Crastolla, François Nedel Atèrre, la grande Ketti Martino, Carla Viganò,Michele Carniel e Davide Cuorvo.
La poesia, secondo te, è un’arte di nicchia? Cosa si potrebbe fare per renderla più popolare?
La Poesia è arte di nicchia: la considero elitaria e diffido di queste teorie populiste, che respingo con tutte le energie in mio possesso. Beninteso, tutti hanno il diritto di esprimersi, ma la Poesia vera e i suoi autentici sacerdoti non debbono fare nulla per impiattarla alla mensa dei bruti e degli insensibili, vuoti individui, beceri e inconcludenti.
Hai dei momenti particolari quando componi? Dove di solito?
Non so spiegare come e in quali circostanze prende di me il controllo il daimon ispirativo; non ho un luogo preferito ove comporre; il mio ’adyton’ è ovunque, crea da sé il suo spazio, la concentrazione, il provvidenziale, irrinunciabile isolamento.
Con quale/i poeta/i andresti volentieri a cena (anche poeti che non sono più in vita) e perché?
Andrei a cena con tre poeti grandissimi che non ci sono più: l’rpino Pasquale Martiniello, il nolano Aristide La Rocca, la sanfelese Assunta Finiguerra,perché li ho conosciuti nelle più contorte spire viscerali dell’animo loro. E andrei a cena con Gabriella Maleti, portatami via in piena amicizia da un male crudele, e con Anne Sexton e Costantino Kavafis, geniali per loro conto. Unici. Meravigliosi.
POESIE
di conquistare la lampada
rossa della tua bocca
Dormissi quieto mutassi il destino
Maledetti soffi di passione
Non c’è dolore che mi ridesti
da questa follia che piace all’orologio
che non batte più l’ora
che orrenda appare all’anima
anelante a ben mistica unzione
Vorrei allungare una mano
per competere con l’armonia
del tuo penare mentre dissangui il braccio
e ignori così di avere ai tuoi piedi
il mare oceano rivolo d’infinito
Non chiedermi cosa farò ora
mentre trasali mentre la tua memoria muore
o fingi stupore al muffito crepuscolo
che ostenta stanchezza nelle larghe mammelle
nel pube che è stato per troppo tempo
la mia piccola falena bruciata
una piccola madre a metà pagina di questa
dirottata esistenza Mi vorrei ingrato
dell’idillio e felice dell’aria solitaria
al punto da fischiettare una serenatella
alla luna che mi bagna la pelle
e stringere un grillo senza schiacciarlo
nel palmo dell’idea come se attaccassi
invece un banale malumore a descrizioni
spoglie affrettate afone stente
Ma forse sto furtando lo ammetto
radice di verità Già altrove la mia casa
si chiamò ala di qualcosa affine alla viltà
alla menzogna come la mia ridotta distesa
d’erba Una cornacchia aggetta la sua ombra
sulla mia fronte d’avorio Somiglio a un bravo
ragazzo che gioca d’intrugli con donne mature
rese deboli dalla pelle rilasciata e dalle natiche
pesanti Me le godo in un’ansa segreta
Le consumo in questa sigaretta
ARMANDO SAVERIANO da LA CIRCONFERENZA DELL’IRIDE
ARGONAUTA
Da quando vivo è un pretesto
il fermarmi rinviando ogni scelta .
Questa memoria sfitta di immagini
fa tedio nelle sillabe della contraddizione.
Fui Dedalo. Sarò Lazarillo (forse).
Il disoccupato a cui tutto rovina addosso
nella disillusione elicoidale. Chissà.
Ma intanto sogniamo in platea il cinema
dell’esistenza. Chi rotolò per esempio
nei dadi a getto di Giannetto Malespini
in mezzo all’ansa torbida del silenzio che
adesso come allora congiura ?
Certo –direte – un incosciente oppure
un poeta nella rivoluzione dei garofani.
Inutile immite ! La vita che ci gioca si
contende con l’ω μεγα l’ingiuria
dell’inganno. Ingaggia demoni la corrosione
dell’affanno quando incrociamo il
fioretto nel cuore della controversia
e siamo noi a subire nell’esplorazione
di anime interrate la beffa dell’inetta
avventura che (ci) disorienta in questo
nostro soggiorno a episodi nel mondo
tagliando i fili del senso che mai si designa.
Il fronte della natura scissa sembra
vicinissimo, vedete? E’ impresa impossibilepatetica
anche inventare significanze transfigurando la
propria natura -se è biblico issòpo come pare
essa sia-. Perexigue herous, argonauta allotrio io con voi
noi quando il folle scopo di credere in un qualsiasi vello
aggrapparcisi -cocciuti/falliti alfieri- si dissolve
aliforme fermentazione della dulcedine
d’illudersi. Materia morticina, pellicola umilia(nte)ta.
Qui noi ci guardiamo nelle lenti
arrovesciate del binocolo non osando saperci
invisibili e assurdi petendo origini celesti
dibattuti dalle fiondate del caso mazzafrusto
transitori sbandatissimi fuscelli.
Premio nazionale di poesia “Città di Sant’Anastasia” 5a.Edizione 2006/2007
Cappuccetto nella foresta dei bastoni
rischiava d’insordire
al finimondo dei nonni che infittivano lagne e proteste
inveendo forsennati contro chi arrestando il respiro
li avrebbe ridotti in polvere buona per l’avido vento
mentre no
loro volevano continuare ad arrampicarsi
sulle pareti fino al cielo
mangiare pesche chiedere alla nipotina
di chinarsi a sfilare la mutandina
Avevano becchi a battere il tuono
un odore di lucerna al lumicino
i capelli radi intrecciati al giugno che getta i fazzoletti
agli usignoli affranti tra gli asfodeli tòrti
Oh erano nonni fieri piegati dall’artrite che s’avanza
vantavano brevi racconti di albe adolescenti
ficcate nell’illusione dell’impudente giovinezza
Oh correvano allora dietro flauti e aquiloni
parlavano di fauni e di piaceri a fanciulle accaldate
tutti lavoravano a raccogliere la dolcezza dal marmo
festeggiando il primo sfogo dell’estate impura
Afferravano irruenti testa e coda dell’arcobaleno
sempre troppo distante dalla caparbietà umana
O cappuccetto cavalca l’alcione della tua finta innocenza
scova tra i vizi delle fauci il lupo
sorvolalo
precedilo
prometti al cacciatore la frode
della verginità
quando avrà estratto alla belva il cuore
e ballato sotto il cappio di Giuda e così l’aria
nera nera si pettinerà alle finestre delle minuscole
casette Lego dalle gialle margherite coi pastorelli
a mugghiar d’affarucci e logori castighi
Giocano i nonni puntati i bastoni
a schiacciacappuccetto
per sporcar la morale della fiaba
accendere un falò
arrostir la carne
ARMANDO SAVERIANO
22 giugno – Covidanno
L’autunno è cominciato, la vendemmia è in pieno corso. Sono in fermento le vigne e le uve, pronte per essere raccolte tra i filari, arricchiti dai colori caldi di questa stagione. La situazione è frenetica sulle colline trevigiane, la patria del Prosecco. Le stradine si snodano tra le vigne in quella che viene chiamata la “Strada del Prosecco”, un percorso che regala scorci unici su natura e vita umana. La mia amica Anna mi racconda dell’angolo d’Italia in cui è nata, facendomi viaggiare tra quello che è il Veneto: una regione in cui colline, montagne, mare, pianura e fiumi si incontrano in un preludio di colori, suoni e storie da raccontare.
Tra mura e orizzonti
Immagina di entrare in un piccolo paese attraversando una porta medioevale, la cui arcata ha visto passare tante vite nel corso dei secoli, oltre alla tua. Immagina di guardarti intorno e di vedere una cinta muraria invalicabile, sormontata da merli e torri di guardia perfettamente conservate. Sei a Cittadella, in provincia di Padova: l’unico paese europeo con una cinta muraria dalla forma ellittica ancora perfettamente camminabile. Al suo interno, la vita di paese scorre lentamente, tra chiese, bar, mercati, passeggiate sotto i portici e aperitivi. È di questo che mi parla Anna, una veneta fiera della sua terra. Mi racconta di Asolo, in provincia di Treviso, chiamata la “città dei cento orizzonti” per la sua posizione, che offre una vista a 360 gradi sul territorio veneto. Se il tempo lo permette, si vede addirittura Venezia, mi dice. C’è Arqua Petrarca, la città dimora dell’omonimo scrittore, dove è ancora oggi presente con le sue poesie, parte integrante della storia del paese. C’è anche Bassano del Grappa, con il suo Ponte degli Alpini, in legno, e le sue distillerie. Un angolo d’Italia punteggiato da borghi, paesi e vite vissute, che si allacciano insieme per formare una terra fiera delle sue tradizioni e delle sue storie da raccontare.
Uno spritz tira l’altro
Cosa c’è di più tradizionale se non un aperitivo a suon di spritz? “Sai quando ti incontri per un caffè con una persona e glielo offri? Per noi c’è lo spritz: la nostra moneta di scambio a qualsiasi ora del giorno. Lo spritz è sembre un buon motivo per incontrarci.” Ed è proprio davanti a uno spritz che Anna mi parla delle cose che devo assolutamente mangiare quando andrò a trovarla. Tra questi, ci sono i bigoli all’anitra, il baccalà alla vicentina, la soppressa con polenta e funghi. Mi immagino già i sapori e i profumi. E mi immagino già con cosa dovrò innaffiare il tutto: qualche buono spritz e qualche calice di Prosecco.
Già che sei lì
Quest’angolo d’Italia non è solo punteggiato da borghi e paesini, ma anche da città d’arte degne di nota. Non perderti Treviso, Verona e Padova. Ma soprattutto, non lasciarti sfuggire Venezia, il “gioiello dei veneti”. Ma abbi rispetto di questa città, trattala con cura: i veneti sono molto gelosi della loro Venezia!
Angoli d’Italia
Immagina una vallata circondata da vette maestose. Immagina i prati estivi, sormontati da cime innevate e ghiacciai perenni. Immagina i colori del tramonto sulla roccia e le case di montagna da cui qualcuno, ogni giorno, si trova ad ammirare quello spettacolo della natura. È questa la vera essenza della Val d’Aosta. Una regione timida e tranquilla, che fa da porta d’ingresso al nostro Paese. È Greta che mi accompagna in questo viaggio immaginario alla scoperta di un angolo d’Italia che è davvero uno degli angoli più settentrionali d’Italia. Tra paesi e vita di montagna, Greta mi spiega che è solo una la protagonista assoluta di questa regione: la natura.
La meraviglia della natura
Greta è cresciuta a Gaby, un paesino situato nella valle del Lys, le cui giornate vengono scandite dalle ombre delle montagne che lo circondano. Se l’andassi a trovare, mi dice, andremmo alla scoperta della natura. Perché è quella l’essenza del territorio in cui è cresciuta. I suoi abitanti la rispettano, la amano e condividono con lei la loro quotidianità. Andremmo a passeggiare ai piedi del Monte Rosa, il monte che “non si perde mai di vista” perché, con i suoi 4.633 m.s.l.m. e il suo secondo posto sul podio delle vette italiane, è difficile da non notare. Mi dice che è talmente bello da risvegliare l’impulso di volerlo fotografare a ogni ora del giorno, da ogni angolazione in cui lo si vede, in ogni sfumatura di colore che assume durante la giornata. Poi i laghi che punteggiano il territorio, quelli con l’acqua talmente fredda che non permettono di farci un bagno neanche d’estate, ma bellissimi da ammirare. E le cime, su cui si inerpicano sentieri per camminate e piste da sci. Le vallate della regione offrono davvero tutto ciò di cui c’è bisogno per connettersi con la natura più assoluta, in un viaggio attraverso se stessi e il territorio. Perché la Valle d’Aosta è una regione facile da assaporare nella sua piccolezza, ma anche nella vastità dei suoi panorami.
Il passaggio della storia
Tutta questa natura è stata protagonista di altrettanta storia, che ne ha percorso le strade attraverso le catene montuose e le vallate. È in una di queste, nella valle della Dora Baltea, che si trova una testimonianza storica importante nella regione: il forte di Bart, una rocca medioevale situata su una collina che sovrasta il piccolo paese di Bard. “Ha un’importanza storica talmente grande che ogni bambino della regione viene portato lì almeno una volta, in gita scolastica” mi spiega Greta. È sicuramente una delle cose da non perdere, dopo essersi immersi nella natura circostante. Allo stesso modo, anche Issogne e Fénis offrono uno scorcio sulla storia del territorio. I due paesini ospitano infatti altrettante castelli e residenze degne di nota, per chi si vuole addentrare nelle sensazione di una storia medioevale italiana ormai lontana.
Il buon cibo che riscalda
Ma tra passeggiate e visite a castelli, l’appetito sicuramente non manca. Come riempire lo stomaco di prelibatezze locali? “Ti consiglierei di assaporare il cibo valdostano in tutta la sua ‘leggerezza'” mi dice Greta “polenta e zuppe vengono insaporite da tre ingredienti principali:
burro, toma e fontina. Anche la carbonada è da provare, uno spezzatino di manzo al vino, o il vin brulé, immancabile in inverno. Entrambi fanno parte della nostra tradizione.” Una tradizione culinaria che deriva dalla cucina franco-svizzera e che, con il suo apporto calorico, riesce a riscaldare anche gli animi più infreddoliti.
Se sei nella zona…
Non perderti Aosta, il capoluogo di regione (e unica provincia). Anche se, mi avverte Greta, in una città come quella si rischia di perdere la vera essenza della Val d’Aosta.
Chi, secondo te, può fregiarsi del titolo ”poeta” e perché?
Non saprei se quello di “poeta” possa essere un titolo a tutti gli effetti, di sicuro non è di facile attribuzione. Per me può definirsi poeta chi elabora un linguaggio differente da quello presente in altri ambiti. Ogni grande arte ne ha uno: la musica ha un linguaggio fatto di suoni, ritmo e pause; la pittura si realizza con i colori e le forme; la cinematografia si avvale di immagini, sequenze, inquadrature ecc. Si potrebbero dire tante cose ma, per farla breve, un poeta è colui che rappresenta la condizione di se stesso e/o del mondo attraverso un linguaggio di parole, una facoltà comunicativa da non confondere con la lingua e nemmeno con la velleità della comprensione. La parola in sé possiede ritmo e colore, evoca simboli e si avvale di tutta la potenza etimologica e d’utilizzo riconducibile alla interpretazione. Sta al poeta organizzare la disposizione testuale attraverso un sapiente dosaggio di ingredienti anche insoliti, se vogliamo. In sintesi, il poeta è per me un artigiano della parola.
Com’è nata la tua poesia e come definiresti il tuo stile.
È nata pochi anni fa attraverso la frequentazione di alcuni gruppi Facebook che hanno acceso in me la voglia di scrivere in versi. Ho sempre avuto il bisogno di esternare una verve creativa e, prima di intraprendere questo cammino con la scrittura, lo facevo con la musica. Si può dire che spesso cerchi proprio la musica nei miei versi e che le mie suggestioni siano continuamente guidate dai suoni.
Ho cominciato con la slam influenzata dal rap e ne è uscito fuori il mio esordio del 2017, “Il beat sull’inchiostro”, tutto basato sul ritmo. Successivamente mi sono lasciato conquistare da un sentire femminile, o meglio ho lasciato che venisse fuori un lato della mia personalità attraverso i versi. La testimonianza di questo passaggio è contenuta in “Variazione Madre”, del 2019, un’opera in cui mi immedesimo nel femminile a partire dal corpo quale sede della diversità biologica che intercorre tra uomo e donna. Qui il ritmo si è mitigato e ha lasciato posto alla melodia delle parole, anche se le tracce del passato non sono del tutto scomparse.
Oggi mi esprimo attraverso testi maggiormente concisi, volti a far emergere il vuoto e la mancanza anche attraverso una ricerca lessicale più accurata. Sono ritmicamente affascinato dal potere degli accenti contenuti nelle parole e il mio senso musicale si è diretto verso questi elementi per ricorrere a rime, assonanze, allitterazioni all’interno di una struttura più ragionata e leggermente meno istintiva. Mi considero un Versipelle, ossia cerco sempre di cambiare, di immedesimarmi anche in ciò che è altro da me. Spesso sono alla ricerca della convivenza degli antipodi anche a costo di sbagliare e di commettere passi falsi. Se c’è una cosa che non mi interessa in poesia è proprio quella di restare da una parte sola, è così noioso! Non amo le gabbie, a partire da quelle che mi costruisco da solo e di cui mi servo periodicamente.
Pertanto lascerei che le definizioni sul mio stile le diano i critici e gli addetti ai lavori: credo che avere un’immagine di sé passando esclusivamente da una definizione personale sia riduttivo e, in certi casi, anche egoistico.
Baudelaire scriveva che il peggior nemico di un poeta è un poeta. Cosa ne pensi?
Un poeta difficilmente può essere nemico di un altro poeta per questioni puramente poetiche, almeno di questi tempi. Le ragioni, a mio avviso, hanno origine di natura diversa da quelle strettamente legate alla scrittura. Sto parlando del carrierismo (che per quanto mi riguarda è una cosa semplicemente ridicola in poesia, considerando anche il numero esiguo di lettori) o di un’ideologizzazione eccessiva che vorrebbe distinguere il bene dal male nella scrittura. Tuttavia non dobbiamo mai dimenticare che l’arte è libertà. L’ideologia si incancrenisce, mentre il guizzo o il genio hanno effetti duraturi nei secoli. Un vero poeta è tale al di là delle correnti o dei movimenti di appartenenza.
Perché la poesia al giorno d’oggi vende poco?
La poesia ha sempre venduto poco perché richiede un certo impegno da parte del lettore, il quale non sempre riesce a entrare in relazione con il linguaggio poetico a livello generale. Inoltre, in un’epoca di slogan, di risposte e interpretazioni della realtà così veloci e accattivanti, la poesia è vista come una mera perdita di tempo. Tra l’altro oggi siamo abituati a misurare tutto attraverso i soldi e il successo, cosa impensabile ai tempi di Foscolo o Leopardi. Se la poesia vende poco, assistiamo al contempo al fenomeno che vede molti (pseudo) poeti affermati impegnati nella spettacolarizzazione della parola ed erodere sempre di più il limite che intercorre tra l’arte versificatoria e l’intrattenimento. Certo, andare oltre gli schematismi è compito dell’arte, ma non si vive di sole violazioni. È un’epoca dove il brand conta più del contenuto in sé: l’estro va benissimo e anche la dichiarazione poetica, ma questo non giustificherà mai il valore della poesia che non cede alle velleità modaiole da esaurirsi nel giro di poche stagioni. La poesia, invece, deve avere un’ambizione eterna, anche quando presenta contenuti bassi, anche quando vuol far ridere o ridicolizzare. La poesia vive un paradosso, quella di non poter seguire le regole del mercato anche se ha bisogno proprio di un mercato per beneficiare di una diffusione oggi. In ogni caso, diffido fortemente da chi sostiene che il poeta debba necessariamente semplificare il proprio linguaggio al fine di raggiungere un numero di lettori più ampio. I lettori vanno rispettati anche nel dissenso e nelle distanze, la semplicità a tutti i costi sa essere ben più pretestuosa e falsa di certi contorsionismi linguistici, in quanto ci si illude che il compiacimento e il consenso equivalgano alla comprensione e a un rapporto onesta tra poeta e lettore. Io le chiamo prese per i fondelli, perché l’animo umano va esplorato e rappresentato anche toccando ciò che il lettore comune non vuol vedere. Ci sarebbe anche da fare, inoltre, un discorso sulle scuole, troppo impegnate ad appiccicare attributi ideologici e morali alla poesia a scapito del senso critico che, se sviluppato, gioverebbe non poco al mercato del libro… e non solo.
È più importante vendere ed essere riconosciuto dal grande pubblico o rimanere un’icona per un ristretto gruppo di veri intenditori di poesia?
Essere riconosciuti dal grande pubblico fa piacere, inutile negarlo, ma dipende da come ci si arriva: alla gente piacciono i personaggi e le storie, tuttavia penso che tanti grandi poeti abbiano operato quasi nascondendo certi aspetti personali portati alla luce solo in una fase successiva. Per me la divulgazione di un’opera è fondamentale, altrimenti non so quanto abbia senso pubblicarla, considerando anche la saturazione del mercato. Ad ogni modo credo che ogni poeta, se ha davvero qualcosa da dire dal punto di vista stilistico e tematico, debba interrogarsi sui propri lettori. Nel mio piccolo, penso che la poesia sia un mezzo per fare i conti con la consapevolezza umana. In Variazione Madre mostro la mia parte femminile attraverso i versi perché ho sentito l’esigenza di fare mia questa tematica e di trasmetterla in quanto persona attraverso un linguaggio diverso. Il femminile non è solo una questione delle donne, la definizione dei ruoli passa attraverso un accordo tra le parti e, a partire da questo presupposto, cerco un contatto con dei lettori, ovvero una comunità che accolga la parola e la faccia propria. Se questo messaggio di immedesimazione venisse gratificato anche dalle vendite ne sarei contento, ma il mio intento resta principalmente artistico e intellettuale. L’attivismo si deve focalizzare sulla poesia, non ho la pretesa di fare della scrittura poetica un lavoro, anche perché essere costretti a pubblicare libri, magari scadenti, e andare in giro a fare i santoni o i fenomeni da baraccone per vivere non rientra nelle mie ambizioni.
Tre libri di poesia che lanceresti dalla torre ?
Farei un torto a qualche contemporaneo e ritorneremmo a quanto detto alla domanda precedente in riferimento ai poeti nemici di se stessi. Pertanto mi impegno a trattenere tutto ciò che leggo, tanto ci penseranno i posteri a fare pulizia.
Tre libri di poesia che non potresti mai fare a meno di rileggere per la centesima volta.
Variazioni Belliche di Amelia Rosselli, Ossi di Seppia di Eugenio Montale, Nome e soprannome di Simone Cattaneo
Tra i poeti contemporanei conosciuti via web e ancora sconosciuti al grande pubblico, quali ti hanno colpito di più e perché ?
Sono tantissime le voci interessanti sul web e spendere una buona parola per tutti quelli che incontrano il mio gusto non è affatto semplice. In ordine sparso cito: Beatrice Orsini per la capacità di decostruzione della parola e il senso scenografico della poesia; Luca Crastolla per la sua abilità di collezionare oggetti-parole, salvarli dall’uso comune e dare loro nuova vita; Floriana Coppola per la sua capacità analitica profonda che non teme il coinvolgimento dei sentimenti umani più nascosti; Ketti Martino per il tratto sintetico, esistenziale e penetrante in poche gocce; Ilaria Sordi per fare del cielo una meta ambita senza rinunciare alle proprie “dannazioni”; Marina Marchesiello per l’immagine pacificatoria dell’umanità che passa attraverso la carne e le ossa. Ce ne sono tanti altri che meriterebbero di essere citati, ma rischierei di fare una lista infinita.
- Come si fa a distinguere una bella poesia da un bel pensierino buttato lì?
La poesia ha l’occhio lungo e il passo lento, il pensierino buttato lì, invece, è spesso accattivante ma si consuma rapidamente. Una bella poesia, per me, resiste ai secoli. Poi posso anche sbagliarmi perché, per fortuna, non esiste un metodo scientifico per stabilirlo. Certo, la confusione tra frasette e versi è un male diffuso, pertanto, citando Valentino Zeichen, una stoccata al proliferare di versucoli soprattutto sul web la vorrei dare: “È bene tenere le unghie corte / lo stesso vale per i versi; / la poesia ne guadagna in igiene / e il poeta trova una nuova Calliope / a cui ispirarsi: la musa podologa”.
Hai la possibilità di uscire a cena con qualche poeta non più in vita. Chi sceglieresti e perché?
Se potessi lo chiederei ad Anne Sexton, perché scriveva dei versi meravigliosamente viscerali e perché ho una sorta di ammirazione per le donne che mettono in discussione “le regole del gioco”; stessa cosa per Sylvia Plath, la quale possedeva un’immaginario simbolico molto molto carico e intrigante. Naturalmente lo chiederei anche ad Amelia Rosselli perché i suoi versi mi hanno sventrato e non ho mai capito il perché. Lei mi ha insegnato che si può scuotere anche senza essere diretti, che la parola si deposita, sedimenta e brucia. Poi andrei a cena con Montale perché sono innamorato dei suoi dettagli e dalla capacità di usare l’oggetto in poesia, ma non gli chiederei della parola.
Biografia
Federico Preziosi nasce ad Atripalda (Av) nel 1984. Oggi vive in Ungheria dove insegna lingua e cultura italiana a Budapest. Si avvicina alla poesia grazie all’incontro con Armando Saveriano, con il quale fonda il gruppo Facebook “Poienauti”, successivamente diventa moderatore del gruppo “Poeti Italiani del ‘900 e contemporanei”. La frequentazione virtuale con numerosi poeti provenienti da tutta Italia porta alla costituzione di “Versipelle”, una comunità poetica che esprime la propria voce attraverso il sito www.versipelleblog.wordpress.com. Nell’aprile 2017 vede la luce il suo esordio, Il Beat sull’Inchiostro, poetry slam ideata su intrecci di rime e assonanze a ritmo di rap. Nel luglio 2019 viene pubblicata da Controluna, nella collana Lepisma Floema, Variazione Madre con la curatela di Giuseppe Cerbino, un’opera in cui il poeta irpino si immedesima nel femminile cercando di emularne il linguaggio attraverso poesia. Nel 2020 esordisce con il progetto musicale “La lacrima della canzonetta” scrivendo le liriche e prestando la propria voce. Le sue poesie sono state pubblicate su antologie, riviste online e quotidiani nazionali.
Poesie
Atom Heart Mother
quando la luce mi scaldò i seni
furono d’attese voragini. Non pensavo
poter essere madre… Rifugiavo la vita
su nel solaio, così come
toccavo con mano le forme. Dita
a fertilizzare acerbe escrescenze
e in dote il dono. L’esplorazione
il mentre del tempo, il mentre fuggente
il mantra del corpo che il tempo si perde.
Sbocciai come donna, senza essere madre
pronunciando le labbra al sentire carnale.
Protesi negli acini tesa la cinta
celando gli incavi. Le mani
imbrattate di mosto, le mani narcise
facevano posto. Cambiavo d’aspetto, capezzoli grossi,
di carne le spille sferzavano l’uomo
di carne il solo e unico avvento. Non madre
ma donna d’aspetto. Furono cellule
a cristallizzare nel ventre gli umori. Di perle
un nido di palmi pietosi. Sentivo parlare
il corpo ed il frutto infine venne
il principio di tutto. Felice
urlai la mia vendetta! Essere
una madre e una donna
una sola cosa.
da Variazione Madre (a cura di Giuseppe Cerbino), Controluna – Lepisma Floema 2019
-
Ho del mare da piantarti nella gola
questo mare che mi balla che mi beve
che sconquassa Questo mare che mi esplode
dalle viscere dal ventre Questo mare
che si stende di bonacce e di tormente
che dal baratro si allunga sopra il becco di delfini
con le buste della plastica a bandire le rovine
Questo mare che le trame ci accoltella come lame
conficcando le budella tra quei denti sangue e perla
entro selachimorphema della perdita gitante
anatemi ho visto nascere e non c'era nessun altro
alfabeti e religioni divulgati dalle onde
vite al largo pei naufragi e le doglie trapassate
quanto sentimento scava la mia furia che ti stringe
a quale cielo declamare la finzione e l'astrazione
quando vedo apertamente che ho perduto la razione
delle ossa mai piantate e del sangue mai sgorgato
della pietas per me stessa e il sorriso che mi chiama
che mi abbraccia che mi dice con la sua vocina mamma!
Questo mare come lava sarà faro del tramonto
sarà freddo con le spoglie perché fino a quando muove
questo mare volge il canto a tutti i fiori a tutti i mali
che ha piantato le radici da nutrire con il sale.
da Variazione Madre (a cura di Giuseppe Cerbino), Controluna – Lepisma Floema 2019
Coperte
In un nimbo in una coltre
così d'un fiato,
alla goccia si scioglieva in volto
una premura del tutto autunnale
ma il verso,
il verso era avvolgente e caldo.
Lontano mantenevi l'abominio
dalle mie braccia
nel dolce trogolo delle attese
respirando un po' il mattino
nella notte.
Quanta cura per l'assenza
avresti avuto, Madre,
con un bacio
rimboccando le coperte
nella stanza accanto.
Inedito, pubblicato ne La bottega di poesia a cura di Maurizio Cucchi su La Repubblica, Aprile 2019
Dove il margine
Vieni,
ti porto dove il margine vale la chiusa
e l’ombrello non ripara dalle ombre bagnate;
il chiasso alla lunga si fa silenzio
in barba ai suoni che ti appartengono.
Sono tutti pensieri
certi stupidi certi meno
ma tutti comunque dirottati
dal peso di una goccia.
Si stacca il mento quando vedi un fiore
anche quando sai non è per te.
Indedito, pubblicato col titolo “Il peso di una goccia” ne La bottega di poesia a cura di Maurizio Cucchi su La Repubblica, Luglio 2020
L'Italia, come potete immaginare, non è fatta solo di città d'arte il cui nome suona famigliare anche oltre i confini europei. Il Belpaese si è fatto strada tra le menti collettive grazie alla sua cultura, al suo cibo, alla sua arte e ai suoi modi di essere. Ma questo paese meraviglioso non si ferma alle apparenze. C'è un mondo da scoprire, scorci inesplorati, nomi sconosciuti e gente con cui parlare. L'Italia ha tanto da raccontare e da mostrare, per questo vi porto alla scoperta di angoli sconosciuti ai più, viaggiando attraverso la storia, la gastronomia e le caratteristiche di luoghi di cui non avete mai sentito parlare...fino ad oggi.
Il primo angolo che scopriremo insieme è quello dove sono cresciuta. Si trova all'ingresso degli Appennini, in provincia di Reggio Emilia (Emilia-Romagna), dove la pianura incontra le montagne, dando forma a colline e altopiani che hanno visto il corso della storia, arti culinarie e parlate secolari.
"Andare a Canossa": tra storie epocali e modi di dire
In varie lingue esiste il modo di dire "Andare a Canossa". Con questo, si intende il riconoscere un errore fatto e chiedere umile perdono, subendone (anche) l'umiliazione. La cosiddetta "Umiliazione di Canossa", da cui deriva questo modo di dire, trovò il suo sfondo scenografico proprio in questo territorio: nel 1077, in un periodo in cui l'autorità ecclesiastica era in contrasto con quella imperiale, Papa Gregorio VII scomunicò l'Imperatore Enrico IV, costringendo quest'ultimo a chiedere umilmente perdono per potere essere nuovamente riconosciuto dal Papato. Lo fece in un gelido gennaio, quando l'imperatore dovette recarsi a Canossa, dove Gregorio VII era ospite della Contessa Matilde. Attese inginocchiato davanti al portale d'ingresso tre giorni e tre notti, tra tempeste di neve e temperature gelide, conquistando infine il perdono del Papa. Quello che seguì è ormai storia, ma quell'atto rimase così impresso nella mente delle persone da rendere Canossa un luogo il cui nome è legato ormai indissolubilmente alla cultura generale, italiana e non. Oggi del castello non è rimasto altro che un rudere circondato da natura e colline in cui immergersi per lunghe passeggiate. È però da non perdere la grande rievocazione storica che si tiene ogni anno a Quattro Castella (RE): durante gli ultimi giorni di maggio, costumanti, contrade, sbandieratori e personaggi pubblici, che vestono i panni di Enrico IV e la Contessa Matilde, riempiono le strade del paese, riproponendo giochi medioevali, arti, musica e i momenti che hanno reso quell'episodio così celebre. Un tuffo nella storia degno di essere vissuto.
Un'immersione nella spiritualità e nella natura
Restando nel comune di Canossa, c'è un piccolo borgo completamente sconosciuto ai più, ma molto particolare e degno di nota. Si tratta di Votigno di Canossa (RE), un borgo medioevale in cui ha sede la Casa del Tibet, un centro culturale buddista che vide addirittura la visita del Dalai Lama, che inaugurò questo luogo nel 1999. I toni tenui delle sue case in pietra si alternano ai colori vivaci delle stupa e degli ornamenti buddisti, il tutto incorniciato dalle colline verdi di questi luoghi.
Proseguendo poi il viaggio, addentrandosi sempre di più negli Appennini, si arriva a Castelnuovo ne' Monti (RE), dove la vista viene catturata da un monte solitario insolito. È la Pietra di Bismantova, un masso dalle pareti spioventi e il dorso piatto, che svetta sul panorama circostante. Citata anche da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia (Purgatorio, IV, 26), la Pietra è il luogo ideale per immergersi nella natura. Il luogo offre infatti passeggiate per tutti i gusti (la sommità si raggiunge facilmente in 20 minuti dal parcheggio) e pareti da arrampicata famose tra gli appassionati in tutto il Nord Italia.
Un'arte culinaria da non perdere
La provincia di Reggio Emilia fa parte di una zona, quella emiliana, in cui la gastronomia regna sovrana: Parmigiano-Reggiano, prosciutto crudo, mortadella, tortellini e tagliatelle sono solo alcune di queste. Ma immergendosi davvero nella cultura del posto, si scoprono tante piccole prelibatezze che non hanno ancora varcato i confini regionali, se non addirittura quelli provinciali.
L'erbazzone è un classico esempio di arte culinaria popolare. È una torta salata fatta di "erbe" (da cui ne deriva il nome) e prodotti locali: un ripieno di bietole, spinaci, cipollotti, ricotta, e Parmigiano-Reggiano (nella zona montanara della provincia viene aggiunto il riso) viene incorniciato da una pasta simile a quella brisé, sottile e insaporita dal lardo. È un piatto povero, ma molto saporito, con cui i reggiani amano fare merenda, mangiare come antipasto (con l'aggiunta di qualche salume locale) o anche per colazione. Viene servito infatti a piccoli pezzi al bar, nei forni o al ristorante ed è quindi adatto da mangiare a qualsiasi ora del giorno.
Se invece siete più amanti del dolce, la zuppa inglese fa per voi. Non lasciatevi ingannare dal nome: è un piatto tipico reggiano che assomiglia, come composizione, al tiramisù. È infatti un dolce a strati, composto da Savoiardi (biscotti lunghi e secchi) imbevuti nell'Alchermes (una bevanda liquorosa di colore rosso) e crema pasticcera classica alternata a quella al cacao. Il nome di questo dolce sembra derivi da un cuoco che, in onore di un ospite inglese presso la famiglia nobile per cui lavorava, ha rivisitato una ricetta locale già conosciuta, dandogli poi questo nome.
Se visitate la zona durante il periodo estivo, non perdetevi una delle tante sagre paesane: un pasto a base di erbazzone, un piatto di tortellini (che qui chiamiamo cappelletti) e, infine, una zuppa inglese vi permette di entrare ufficialmente nei sapori e nel piacere culinario che questa terra sa offrire.
Se siete nella zona...
...non perdetevi anche il centro storico di Reggio Emilia, chiamata la "Città del Tricolore" per aver dato i natali all’attuale Tricolore italiano. È una città che, come le più conosciute Parma, Modena e Bologna, si sviluppa lungo la via Emilia, la via di epoca romana assolutamente da seguire se volete immergervi in un viaggio attraverso la regione, fino ad arrivare al mare Adriatico.
Concorso a Premi Dante Alighieri Copenaghen – Gianni Rodari 2020 CHIUSE LE ISCRIZIONI
Sono chiuse le iscrizioni al concorso a premi dedicato a Gianni Rodari. A causa della emergenza Covid tutte le date indicate nel Regolamento sono state modificate. Le opere saranno in ogni caso valutate dalla Commissione apposita entro termini ragionevoli. Appena possibile verrá comunicata la data e il luogo della cerimonia di premiazione.
I vincitori del Concorso riceveranno in ogni caso un invito a mezzo mail.
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